Liberamente tratto da “Il Barone rampante” di Italo Calvino
di e con Sara Molon, Soledad Nicolazzi
Regia Soledad Nicolazzi
Produzione Stradevarie, Campsirago Residenza.
In collaborazione con Teatro dellaTosse
«Si tratta di un mix tra caccia al tesoro, travestimenti, stornelli alla fisarmonica e arrampicate circensi. SoledadNicolazzi e Sara Molon creano uno show bislacco, tra rami volti verso il cielo, personaggi evanescenti e briganti pensili. I bambini assistono allo spettacolo giocando e mangiando la frutta disseminata nel bosco. Ma ci sono anche le voci fuori campo di altri bambini, che ci raccontano dell’amore.
E scopriamo che i loroocchi candidi, filtrati dall’immaginazione, capiscono e conoscono l’amore assai meglio di noi adulti.»
Vincenzo Sardelli, Krapp’s Last Post, 27 giugno 2018.
«In un parco ravvivato dai colori dell’incipiente primavera, l’evento era da annoverare a Milano tra quanti con maggior convinzione hanno avvicinato negli ultimi tempi i ragazzi alla natura. La performance esemplare di due acrobatiche (in ogni senso) attrici sulla scia del “Barone rampante” di Italo Calvino andava e ancora va letta come un invito a ribellarsi alle sirene del consumismo e, a ben vedere, anche alla montagna luna park. […] Ben presto lo spettatore s’immedesima in quella vita alternativa così estranea al mondo in cui vive eppure ancora “possibile”, forse desiderabile. Se soltanto si avesse il coraggio di mettere un ragionevole rgine all’impiego di tablet e smartphone da cui tutti i nostri atti sembrano ormai dipendere. […]
Nella genesi dello spettacolo, che merita una lunga serie di repliche, conta molto l’esperienza della stessa Nicolazzi laureata in Scienze dell’Educazione, autrice, attrice e regista, che da anni si occupa di teatro, tradizione orale, musica popolare e che a Milano ha replicato a lungo uno dei suoi spettacoli preferiti, “Ciclonica”, monologo per donna in bicicletta. “Ho passato parte della mia prima adolescenza”, racconta Soledad, “accovacciata tra i rami di un melo o di un ulivo a leggere libri di nascosto e a immaginarmi protagonista d’improbabili avventure. L’albero, capanna, castello, rifugio, era un posto solo mio: i grandi con le loro Fissazioni assurde e le loro richieste stavano giù, ben lontani. Concedevo ogni tanto qualche visita al mio fratellino, e per il resto più che un gioco era un guardare il mondo da un’altra prospettiva”.»
Mountcity